Il filosofo ricorda al pubblico del Festival che uno scienziato deve conoscere le dottrine filosofiche e un letterato non può ignorare la scienza

Lun, 11/11/2019 - 14:42

“Che cosa fanno gli scienziati quando lavorano?”. Esordisce così, con una domanda quasi banale, il filosofo Carlo Sini nella sua lezione al Festival. L’ex docente ha insegnato per anni Filosofia teoretica all’Università degli Studi di Milano e riesce a spiegare in modo semplice al pubblico il lavoro scientifico.

In dialogo con il suo ex alunno Enrico Donaggio, a sua volta docente di Filosofia della Storia all’Università degli Studi di Torino, Sini sostiene che sono tre gli elementi di cui deve tener conto uno scienziato: l’esperienza, lo strumento tecnico e il discorso.

La scienza, ricorda Sini, nasce con l’”empiria” di Aristotele e dalla concezione che il corpo è “un foglio bianco su cui l’esperienza imprime le sue tracce”. Senza il corpo sensibile, lo scienziato non può fare assolutamente nulla.

Il filosofo si sofferma a lungo sul significato dello strumento e della tecnica, importanti per l’uomo perché diventano il canale di mediazione attraverso cui ci si muove nel mondo. Sini porta l’esempio del bastone utilizzato dai nostri antenati come strumento per spostare le cose, prima testimonianza dell’intelligenza umana. “Il bastone non è il braccio, ma lo prolunga – spiega Sini – Quando iniziarono a utilizzare questo strumento, quegli esseri umani capirono quanto fossero intelligenti. Il bastone insegnò all’uomo i propri limiti, da lì iniziò la scienza”.

L’ultima componente del lavoro scientifico è il “discorso”. “Le parole non sono cose – dice Sini – Il linguaggio è il luogo in cui si crea la comunità umana. Il discorso crea premessa comunitaria”.

Sulla base di questi tre elementi, Sini conclude che lo sviluppo tecnologico ha portato ad una situazione di complessità incontrollabile: sono state innumerevoli le scoperte, partendo da quel bastone.

“Dobbiamo avere consapevolezza che noi siamo solo una piega del mondo, non siamo il mondo” sottolinea Sini, che spiega anche come la scienza moderna abbia diversificato il metodo. Da Copernico in poi l’uomo ha smesso di considerarsi il centro dell’Universo e i discorsi creati dalle civiltà precedenti entrarono in crisi. Le credenze umane persero la loro garanzia di verità. Questo aspetto di indeterminatezza sembra togliere allo scienziato il diritto di dire: “Così stanno le cose!”.

“Noi non riusciremo mai a produrre una conoscenza esente da discorsi - conclude Carlo Sini - ma non produrremo mai discorsi esenti dalla nostra condizione sociale, economica, politica e così via. Dobbiamo ricostruire compresenza tra sapere tecnico e discorso comunitario, bisogna rivoluzionare l’idea di formazione, che deve diventare transdisciplinare. Uno scienziato deve conoscere le dottrine filosofiche e un letterato non può ignorare la scienza”.

Valeria Tuberosi (futura.news)

La registrazione integrale dell'incontro