Chi c’è dietro le macchine? Il bene comune è il fine dello sviluppo tecnologico? Incontro con Simone Arcagni, Ugo Pagallo e Niculae Sebe

Sab, 9/11/2019 - 21:08

Cosa sareste disposti a sacrificare per sentirvi al sicuro? In un mondo in cui ogni vostro passo è registrato, vi sentireste davvero al sicuro? Sono questi i dilemmi con i quali dobbiamo confrontarci se parliamo di riconoscimento facciale. “La produzione delle immagini, la visione delle macchine è frutto della costruzione scientifica, ma chi ha il compito di giudicarne l’utilizzo all’interno della società? La filosofia”: è questa la risposta di Simone Arcagni, professore all’Università di Palermo ed esperto di nuovi media, che ha discusso il ruolo prima di tutto culturale e poi filosofico della tecnologia, che sembra voglia allontanarsi dall’uomo: “è semplicemente impossibile, perché dietro ogni tecnologia c’è l’uomo, la tecnologia è l’uomo”. Chiedersi se l’impatto della tecnologia è positivo o negativo potrebbe mettere a rischio il suo sviluppo, soprattutto perché a utilizzarla è l’uomo: “La tecnologia non è neutra, influenza il modo di concepire la nostra vita pubblica”.

Allora come possiamo giudicare giuridicamente il comportamento del riconoscimento facciale? “Non arriveremo al totale utilizzo - risponde Ugo Pagallo, professore di Filosofia del Diritto all’Università degli Studi di Torino - ma sicuramente non potremo bandirla”. Ugo Pagallo, professore ordinario di filosofia del diritto dell’Università degli Studi di Torino vuole allontanarsi dall’idea bonaria di una tecnologia che approfitta dei dati, per poter offrire dei servizi: “Ci sono due utilizzi del riconoscimento facciale, militare e civile, ma sembra che il confine che li divideva nel recente passato stia sfumando in maniera troppo ingente”.

Qual è il limite che le forze dell’ordine hanno nell’osservazione delle immagini del riconoscimento facciale? A livello normativo in Europa, la situazione è molto confusa, soprattutto per la mancanza di un piano che regoli tutte le nazioni: “Si lascia agli stati la garanzia della privacy dei propri cittadini, ma chi garantisce sul campo d’utilizzo delle forze dell’ordine?”

E l’innovazione, da dove parte? Fino a 50 anni fa, il mercato della tecnologia sembrava autonomo dall’utilizzo statale, sia nel processo di creazione che nell’utilizzo finale. Adesso lo sviluppo sembra aver cambiato padri, quasi congiunti in un’unica direzione: “La tecnologia non è mai stata democratica, afferma Arcagni, ma lo stato che l’ha utilizzata ne ha dato una definizione democratica, dove era voluto. Il problema adesso è che lo sviluppo di tecnologie, come il riconoscimento facciale, sembra partire dagli stati in un’ottica di controllo, per poi essere sviluppate da aziende sicuramente non più autonome”.

Qual è la paura per il cittadino a questo punto? Che lo sviluppo tecnologico non lavori più sempre per il bene comune, ma per il bene di chi potrà possederlo ed esercitarlo.

Vincenzo Nasto (futura.news)

La registrazione integrale dell'incontro